“Avrei potuto essere lei”. A proposito di cancro infantile.

La Rubrica “Parliamo di cancro infantile” è a cura di Maricla Pannocchia.
Fondatrice e Presidente dell’Associazione di volontariato Adolescenti e cancro, è anche scrittrice e attrice.
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La prima volta in cui mi sono resa conto che avrei potuto essere lei – ovvero una ragazza con un tumore – è stato nel 2014, quando stavo svolgendo le ricerche per scrivere un romanzo che aveva come tematica centrale il tumore nell’adolescenza. Il 2014 sarebbe stato l’anno in cui avrei dato vita ad Adolescenti e cancro, un mondo in cui i ragazzi oncologici da tutta Italia e i loro famigliari possano trovare supporto, ma ancora non lo sapevo. Quella mattina ho cliccato sull’ennesimo video caricato su Youtube e mi sono ritrovata ad ascoltare, guardare e, essendo una persona empatica, sentire emotivamente la storia di una ragazza di 19 anni affetta da tumore alle ossa, le difficoltà che aveva affrontato in passato, quelle del presente e i dubbi per il futuro. Farsi amputare la gamba adesso? C’erano alte probabilità che il tumore tornasse… se avesse deciso di non farsi amputare la gamba, un domani avrebbe potuto scoprire che il tumore era tornato proprio lì, o che lì ci sarebbe stata una metastasi…

Diciannove anni. E la decisione se farsi amputare una gamba o meno. Se aumentare i rischi del ritorno della malattia, tenendo una parte del corpo in cui un nuovo tumore avrebbe potuto svilupparsi.

La seconda volta è stata durante una delle prime gite estive organizzate con la mia Associazione. Ogni anno organizzo diverse gite di più giorni, gratuite per i ragazzi, per permettere a questi giovani di conoscere altre persone vicine di età in situazioni simili, vivere nuove esperienze, divertirsi e sentirsi giovani e vivi a dispetto della malattia. Quella sera, una delle ragazze – che già soffriva di ansia, depressione e attacchi di panico – aveva avuto un attacco di panico. Siamo salite sulla terrazza dell’hotel; eravamo solo lei ed io. Era una piacevole sera d’estate; il cielo blu con qualche stella sopra di noi. Sedevamo sulle sdraio e a un certo punto lei si è messa a piangere; aspettava i risultati degli esami, c’erano alte probabilità che il tumore fosse tornato, che dovesse ricominciare daccapo le terapie. Aveva appena conosciuto quella che credeva essere la sua anima gemella; aveva progetti per il mondo del lavoro e per il futuro in generale. Ricordo che, a venti anni, con gli occhi gonfi di lacrime, disse: “Non voglio morire”.

E ricordo anche di aver provato una strana sensazione, come se fossi stata travolta da un treno in corsa. Perché lei, più giovane di me di dieci anni, stava al mio fianco con tutte quelle preoccupazioni nel cuore e nell’anima? Perché io, invece, non ho mai avuto alcuna grave malattia, alcun grave problema, in tutta la mia vita?

Spesso pensiamo che le brutte cose succedano agli altri. Tendiamo a non pensare al cancro in generale, figurarsi a quello infantile. Cancro e bambini, o ragazzi, sono due parole che non dovrebbero mai stare a fianco. Ma fingere che il cancro infantile non esista non lo fa sparire nel niente; non allevia le sofferenze di chi lo combatte, di chi sarà diagnosticato domani, di chi ha finito le terapie, di chi ha perso un figlio.

Il cancro infantile non discrimina; può colpire indistintamente. Non c’è niente che mette al riparo da una diagnosi. La posizione sociale, il conto in banca, il lavoro dei genitori, il colore della pelle, la personalità… il cancro infantile non guarda in faccia niente. Certamente ci sono fattori che possono influenzare una prognosi, come nascere in un Paese del Terzo Mondo piuttosto che in uno Occidentale, o in zone ad alto tasso d’inquinamento, o ancora la tipologia di cancro e lo stadio con cui si viene diagnosticati, ma in linea di massima per il cancro pediatrico – per il quale, nella maggior parte dei casi, la causa non è imputabile agli stili di vita, come può avvenire per gli adulti – è una questione di fortuna o sfortuna trovarsi fuori o dentro un reparto di onco-ematologia pediatrica.

Tante altre volte mi è capitato di domandarmi perché io sono arrivata a compiere trentacinque anni senza aver avuto gravi problematiche, né di salute né in generale, né a livello personale né fra i miei cari, e ho conosciuto dozzine di bambini e ragazzi costretti a combattere ogni giorno, che hanno patito le pene dell’Inferno e molti di loro sono diventati angeli… e vorrei che vi soffermaste su queste parole.

Li ho conosciuti. Alcuni per poco tempo, altri per anni; con alcuni ho trascorso ore, con altri giorni, spesso in più di un’occasione. Ho conosciuto chi sono come persone: i loro sogni, le loro paure, le loro personalità… questi ragazzi sono persone come me e te, non sono super-eroi o guerrieri, come vengono spesso chiamati, ma giovani comuni costretti a combattere una grande battaglia dall’esito sconosciuto e il percorso spesso tortuoso.

Dunque, perché è accaduto a lei e non a me? Cos’ha fatto lei di male per avere una vita del genere? E cos’ho fatto io di giusto per vivere una vita così privilegiata? Ed è quello che ti chiedo di domandarti, specialmente se non lo hai mai fatto. Se hai la fortuna di avere la salute, e nessun altro grave problema, chiediti perché tu hai questo lusso, questo dono, e molti bambini e ragazzi, invece, non ce l’hanno.

Abbiamo davvero qualche merito?

Non ho risposte a queste domande, ma tutto ciò che ho imparato da quando ho fondato la mia Associazione di volontariato Adolescenti e cancro è che l’unico modo per vivere una vita degna di essere vissuta è vivere una vita al servizio degli altri. Ci sono tanti modi per farlo; non bisogna necessariamente fondare un’Associazione o fare il giro del mondo facendo volontariato, anche i piccoli gesti sono importanti, e alla portata di tutti.

Ciò che ho imparato è che, chi ha delle fortune, non dovrebbe esserne “solo” grato, ma dovrebbe usare ciò che ha per rendersi utile agli altri e dare, così, significato alla propria esistenza.

La ragazzina di quindici anni con un tumore terminale.

Avrei potuto essere lei.

Il giovane venuto da un Paese straniero per curare la sua leucemia, e tornato indietro in una bara.

Avrei potuto essere lui.

La giovane donna che ha subìto l’amputazione di una gamba.

Avrei potuto essere lei.

La ragazza il cui tumore le ha toccato delle zone del cervello, facendola tornare bambina.

Avrei potuto essere lei.

La giovane donna che, stufa del dolore e della battaglia infernale costretta a portare avanti da anni, ha supplicato che le fossero date delle pasticche per farla finita.

Avrei potuto essere lei.

Ma non lo sono.

Non lo siamo.

Non so perché a questi bambini e ragazzi è toccata quella sorte, e a me no.

Non lo so.

Quello che so è che, qualunque persona a cui non è toccata questa sorte, dovrebbe provare a mettersi almeno una volta nei loro panni per poi prendere un grande respiro, ringraziare per ciò che abbiamo avuto la fortuna (nessun merito, solo fortuna) di avere e metterci al servizio degli altri, da oggi sino alla fine dei nostri giorni.

Perché il nostro presente è solo una fatalità.

Tutti avremmo potuto essere lei.

 

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