“Perfetti Sconosciuti”, tra istinti e verità

di Cristian Mariani

 

La parodia dell’essere umano analizzata in un cinema, la suprema conoscenza al costo di un abbonamento, la capacità di essere ovunque e moltiplicare se stessi in ambienti virtuali, l’idea “Kafkiana” di un potere umano preordinato a cui non ci si può sottrarre ma solamente cedere e accedere, la tecnologia nel palmo della mano compressa in un solo tema: verità o bugia, tradimento o fedeltà?
Questa la sintesi del film “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese, così intenso e travolgente da lasciare in sospeso il nodo principale che indaga sapientemente.
Siamo individui che si relazionano in maniera più o meno interdipendente con l’alterità, il diverso, l’estraneo o esseri imperfetti che abbisognano di complicità estreme e palesi contraddizioni emotive per autodefinirsi in contesti reali ove l’agito di uno sia il pensiero eticamente accettabile dell’altro?
Il film ripercorre l’intero spettro dell’umana propensione al compatimento e alla giustificazione plausibile, descrivendo la socialità repressa di persone in perenne ricerca di una individualità intrinseca persa nella staticità di rapporti sentimentali di parata. Uomini e donne con il proprio mondo onirico e materiale chiuso in un telefono, in un pensiero, in un agito, dove la soggettività di un desiderio e l’emozione di un segreto sono il porto sicuro nell’oceano delle passioni, il rigo bianco tra linee di una testo sconosciuto.
Guidati da bassi istinti e pilotati da pulsioni ataviche e irrefrenabili, i personaggi di questa entusiasmante pellicola vivono in equilibrio sul baratro dell’abisso, in una contrattazione millenaria tra le istanze psichiche primordiali che ne governano le azioni.
Accettare la propria natura o vivere nell’inganno e nella menzogna?
Esistono segreti che è preferibile non conoscere, ed essi non risiedono più nella psiche come punto focale di turbamenti e desideri, ma vengono legittimati al diritto di esistere proprio dalla tecnologia virtuale.
Siamo di fronte a un nuovo tipo di interazione sociale e di auto definizione  che organizzazione civile non può non considerare.
Tuttavia, in attesa che al ribaltamento dell’ordine costituito segua una profonda introspezione sulla natura dell’uomo, il suggerimento è di non giocare con la “dimensione simulata” del proprio partner in ambienti interattivi, si potrebbe finire con lo scoprire di essere poco più di una password dentro a una socialità indefinibile.

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