“Scoprendo Forrester”: il genio artistico e il suo ambiente
di Cristian Mariani –
Cosa accumuna il genio artistico alle dinamiche sociali? Quale sommo sapere lega insieme la fine arte della scrittura all’adolescenza nei sobborghi malfamati di una grande metropoli? Una difficile convivenza che solo il talento illuminato di Gus Van Sant poteva rendere possibile attraverso una elaborazione psicologica della natura umana e delle sue infinite sfaccettature.
Dopo aver stupito il mondo nel ’97 con la pellicola “Will Hunting – Genio ribelle”, il regista americano torna tre anni dopo a raccontare il difficile mondo di adolescenti problematici nati in contesti di povertà e deprivazione sociale, usando un metro meno introspettivo del precedente esperimento cinematografico ma di certo più lirico, sostituendo parzialmente la poesia alla psicoanalisi e l’amicizia profonda all’intesa emotiva.
Il risultato che ne consegue è un film godibile e profondo, un’altalena generazionale che mette a confronto due mondi disgiunti per genesi culturale e condizione economica, per antropologia etnica e livello esperienziale, due modi diversi di osservare la realtà circostante attraverso modalità alternative e comunque dispercettive. Il risultato è “Scoprendo Forrester”, un film quasi epico nella sua semplice linearità, quasi scontato eppure stupefacente. Sebbene fin dal principio l’ “Happy End” sia ipotizzabile e delineato più o meno precisamente si procede trattenendo il respiro nella spasmodica attesa del “Death Point” e della conseguente rinascita che porterà i protagonisti all’apoteosi della loro illuminazione.
La mission che si propone l’autore è quella di ridisegnare i confini dei rapporti di amicizia in contesti estremizzati e contrastanti, e la magia riesce in pieno apparendo talmente convincente da pensarla persino su un piano di oggettività piuttosto che di trasposizione del reale o quanto meno del quotidiano.
Ma più di ogni altra speculazione ideologica ed emozionale va conferito il giusto merito all’interpretazione di Sean Connery che, se ce ne fosse bisogno, dimostra ancora una volta come la maschera dell’attore e quella dell’uomo possano fondersi in un binomio che cattura lo sguardo e rapisce l’anima.
Con queste premesse non resta che spegnere le luci e posizionarsi comodi davanti allo schermo per godersi un film che non deve e non può mancare nella videoteca personale di nessun cinefilo al mondo.